24 giugno 2011. Me la ricordo bene quella mattina. Quando la paura sospende ogni desiderio all'infuori di uno, vivi ogni attimo come se fosse l'ultimo. E ti rimane scolpito dentro. Per sempre.
I minuti. Sono. Come. Macigni.
La porta della sala operatoria diviene il confine tra te e le tue paure, tra la ragione del tuo vivere e il resto del mondo. Tra l'amore ed il buio più nero.
E rimani. Come. Sospesa.
Mio figlio è nato con una malformazione al polmone sinistro. Sequestro polmonare. Che alla fine è molto più brutto il nome della cosa in sé.
Ricordo ancora il frastuono che ho sentito dentro quando i medici usarono per la prima volta quella parola: “malformazione”. Daniele era ancora dentro di me, piccolo piccolo. Stavamo facendo l'ecografia morfologica. E ci dissero che una parte del suo polmone non si stava sviluppando bene, ed era come... morta. Cosa significava? Avrebbe potuto avere una vita normale? Avrebbe respirato senza problemi? Era in pericolo di vita? Ci risposero con un elenco di “forse” ma i medici sembravano ottimisti. Si doveva aspettare la nascita per avere una diagnosi più precisa. E quasisicuramente si sarebbe dovuto operare per evitare complicazioni.
Ovviamente ci aggrappammo al quel “quasi” con tutte le nostre forze. Speravamo che la cosa potesse regredire, come qualcuno ci aveva detto. Ma non regrediva. Quella specie di “macchiolina nera” era sempre lì ed ogni settimana pregavamo per lo meno di non vederla crescere troppo.
Cercammo così di portare a termine la gravidanza come ogni coppia di genitori meriterebbe: serenamente. Con qualche difficoltà e qualche lacrima ma ci riuscimmo. Con molte ecografie, tante visite ed una risonanza magnetica.
E così all'età di cinque mesi affrontammo l'intervento.
Daniele era un bambino sano, tutto sommato. Completamente asintomatico. Ma l'operazione era davvero necessaria, per evitare infezioni e complicazioni future. E poi sarebbe stato finalmente libero e con una vita normale. Cercammo di convincercene. Firmammo una serie di carte.
Ma portare tuo figlio in una sala operatoria quando lo vedi stare bene è davvero contro natura. E la voglia di scappare via dall'ospedale, quella notte, assalì sia me che mio marito. Ce lo dicemmo l'indomani in quel corridoio durante l'attesa più lunga della nostra vita.
Restammo. E Daniele fu più forte di tutto e tutti.
E' passato un anno e mezzo, ed ancora ci portiamo addosso gli strascichi di quei giorni difficili. Piccoli e grandi traumi che hanno segnato le nostre tre vite ma che col tempo riusciremo a superare.
Appena tornati a casa dall'ospedale scrissi una lettera a mio figlio. L'ho inserita nel suo album fotografico e quando sarà più grande gliela leggeremo, affinché sappia e non dimentichi che è stato un bambino coraggioso e fortunato.
“Ti ho stretto tra le braccia fino all'attimo prima di entrare in sala operatoria, respirando ogni tuo respiro, abbracciandoti come non ti avevo mai abbracciato. Ho pregato, ho pianto, ho atteso, e di nuovo pianto e di nuovo pregato. Sono tornata a respirare quando il chirurgo ci ha guardato negli occhi dicendo "ho finito".
Sono tornata a sorridere quando, dopo tre giorni, ho rivisto il tuo sorriso. Ti ho visto pallido dormire immerso in un mare di tubi e di fili che ti facevano sembrare ancora più piccolo. Ti ho visto piangere, assonnato, confuso e affamato... disperato perché allontanato inspiegabilmente dal mio seno. Ho pianto con te. E ho cercato di spiegarti che doveva essere così. Ho stretto la mano di tuo padre, ho cercato la forza nei suoi occhi lucidi... l'abbiamo trovata entrambi nelle tue manine di nuovo pronte a stringere le nostre dita nonostante tutto. Come glielo spieghi il dolore a un bambino? I bimbi a quest'ora sono al mare... e invece guarda quanti letti pieni, guarda quanto dolore... e come glielo spieghi il dolore a un bambino? Come te lo spiego, piccolo mio? La forza ce l'hai data tu, e tutti quei bimbi meno fortunati di te, e i volti stanchi dei loro genitori. E sembri aver già dimenticato. Il tuo sorriso è tornato più dolce di prima, le tue manine continuano a darci forza, e i nostri occhi ora luccicano di gioia. Sei stato bravo, bimbo mio. Un giorno ti mostreremo queste foto e ti racconteremo di come sorridevi a medici e infermieri e ti divertivi vedendo la macchinetta della tua flebo! Il mio piccolo eroe! Ti stringo nuovamente al seno e ringrazio Dio per questo dono immenso... Ma il mio pensiero resta ancora a quei lettini d'ospedale e a quei bambini senza mare. Come glielo spieghi? Come glielo spieghi?”
Daniele è stato operato dal prof. Lima e dalla sua equipe presso l'ospedale sant'Orsola di Bologna. La tecnica usata è la toracoscopia, una forma di microchirurgia mini-invasiva grazie alla quale il bambino ha avuto una ripresa incredibilmente rapida.
Oggi Daniele ha 2 anni ed è un bambino sano e vitale. Una peste, mi dicono dalla regia!
E' passato un anno e mezzo. Ed è tutto passato.